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Resistenza ed antifascismo oggi
di Giuseppe Poliani


Borgomaneri, don Barbareschi, Stucchi, Arienti
Luigi Borgomaneri, mons. Giovanni Barbareschi, Rosella Stucchi, Pietro Arienti - foto Fr.I. l'Arengario

Martedì 22 novembre, in Sala Maddalena, abbiamo scoperto ancora un po' di Resistenza e di storia vissuta ma mai scritta: il prof. Luigi Borgomaneri, mons. Giovanni Barbareschi e Pietro Arienti ci hanno proposto una esauriente revisione e sintesi, senza stravolgimenti strumentali, di quella vicenda storica eccezionale che si chiama Resistenza e che monsignor Barbareschi ha definito un "miracolo" fatto dagli uomini.
Un grazie sincero all'ANPI ed alla presidente Rosella Stucchi per la splendida serata, che con mia grande soddisfazione, è stata seguita anche da diversi giovani, sui quali si riverserà in modo particolare il compito di questa memoria da custodire.
 
La Resistenza non fu un fatto spontaneo ed immediato: il prof. Borgomaneri lo dice chiaramente, ed invita a non distinguere in modo strumentale i fatti buoni da quelli cattivi nel tentativo di presentare meglio questo periodo storico. 
Ne deriverebbe solo una perdita di lucentezza di questi fatti che, a furia di esaltarli in modo unilaterale senza considerarne anche i lati negativi, verrebbero svalutati e resi opachi.
Il popolo italiano non fu tutto antifascista e la Resistenza non fu un fatto improvviso nato solo dall'antifascismo: maturò piano piano dall'incontro di due generazioni, l'una che non aveva subìto abbastanza e l'altra che stava per iniziare a subire: gli adulti provati da tante sofferenze e i giovani che si univano sulle montagne spinti da un antifascismo iniziale ma anche per fuggire prima di tutto da una cosa: LA GUERRA.
Questi giovani iniziarono a resistere alla guerra, sfuggendo la deportazione o l'arruolamento ed unendosi alla Resistenza degli adulti.
Fu dopo questa fuga, spesso seguita da ripensamenti, che iniziò un dialogo ed una maturazione che portò alla Resistenza armata chi restò convinto, come dice Mons. Barbareschi, di agire da uomo libero.
Vista così la Resistenza non rimane confinata nel periodo storico in cui è compresa ma continua e diventa incontro fra generazioni, fatto che ancora oggi vive e ci può insegnare una strada da percorrere. 

Monsignor Giovanni Barbareschi, ma lui preferisce farsi chiamare più semplicemente “don”, è un personaggio notevole da molti punti di vista, a partire dall'aspetto fisico: alto un metro e novanta e più, dritto come un fuso a 83 anni suonati, capace sempre di essere coinvolto e di coinvolgere nei problemi fondamentali dell'essere uomo. In sala c'erano diversi che lo avevano conosciuto e apprezzato quando da ragazzini, durante la guerra o subito dopo, avevano frequentato la Casa Alpina di Motta di don Luigi Re, di cui don Giovanni è stato collaboratore e poi continuatore. Racconta Peppino Motta che, da ragazzino, guardando l'imponente figura di don Giovanni che lo sovrastava e gli innumerevoli bottoncini dell'abito talare, gli capitava di pensare: ”ma se don Giovanni sbaglia ad allacciare il primo, che lavoro riallacciarli tutti…

Don Giovanni racconta di aver passato la sua giovinezza nella ricerca della verità e della libertà e dice: ”sono un prete felice di aver fatto la Resistenza”, è convinto che esistano solo due categorie di uomini, indipendentemente dalla loro cultura e religione: gli uomini liberi e gli uomini schiavi e prigionieri di un ideologia o di un regime: “il primo atto di fede di un uomo deve essere la sua libertà, piccola isola in un modo di condizionamenti”.

Il Ribelle - n. 1

Ma, dice ancora, per essere liberi occorre credere di poterlo diventare ed il giornale clandestino "Il Ribelle" (26 numeri con 15000 copie circa a numero, con la notazione "esce come e quando puņ"), di cui era stato uno dei fondatori, con i suoi otto collaboratori, sei dei quali fucilati o deportati e mai più ritornati, ed uno di questi, Teresio Olivelli, in corso di beatificazione, ne è la testimonianza più ardita: "Fate questo in memoria di me" osa dire don Barbareschi, in modo solenne per celebrare una memoria ma anche per indicare un modo di professare, celebrare e vivere una fede.

Ma don Barbareschi parla anche esplicitamente della situazione di oggi: “non esistono liberatori che portano la libertà ma solo uomini che si liberano”, e dello stravolgimento della Costituzione, voluta allora da tanti cattolici, assieme ad altri uomini di diversa fede politica, “ed è scandaloso oggi l'assordante silenzio del mondo cattolico. Il fascismo è un modo di vivere nel quale ci si piega per interesse o pigrizia”. E poi ripete i concetti che aveva già scritto nella prefazione alla ristampa anastatica de “Il Ribelle”: “Il faraone non è stato eliminato. Ne sono succeduti altri, ugualmente oppressori e schiavisti, anche se non si presentano più armati di mitra, ma padroni di mass-media (applausi a scena aperta). L'esperienza mi ha insegnato che la liberazione è sempre una meta da realizzare ogni giorno: la terra promessa è sempre da raggiungere. La Resistenza fa corpo con lo stesso essere uomo. Continuando il discorso delle Beatitudini, non avrei paura ad affermare “Beato colui che sa resistere””.
 
Pietro Arienti, che spiritosamente inizia sottolineando la difficoltà di un intervento che viene dopo quelli di Luigi Borgomaneri e di don Giovanni Barbareschi, ci illustra molto bene l'altro piatto della bilancia.
Se per il professor Borgomaneri la Resistenza fu quel che è stato con una crescita lenta, Arienti ci dice che gli episodi di resistenza in Brianza, dove si è sempre detto che non fosse successo niente o quasi, sono invece numerosi ma spesso ancora ignoti e, scoprendo i documenti storici nei vari archivi comunali e parrocchiali (in particolare i “Chronicon”) sottolinea il contrario: la Resistenza fu diffusa e pervasa nella società del tempo anche in Brianza.
E' così che dalle sue ricerche risulta che una intera famiglia di ebrei, padre, madre e tre bambini, fu deportata da Seregno e assassinata ad Auschwitz: fatto pressoché ignorato ma che oggi invece ha trovato il suo giusto ricordo con una lapide su una muro di una casa in centro, dove ogni anno, il 27 gennaio, vanno tutte le scuole, per ricordare !

Giuseppe Poliani
(con la collaborazione di Franco Isman per la parte relativa a don Giovanni Barbareschi)


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  24 novembre 2005